Restaurazione e istruzione nel meridione borbonico
DOI:
https://doi.org/10.4420/unict-asdf.v3i0.88Abstract
L’esecuzione dei dettami elaborati dal Congresso di Vienna, reintegrando i sovrani e restituendo al clero antiche e consolidate posizioni, riproponeva sistemi scolastici e modelli formativi rivisitati. Nel Meridione borbonico, con la Restaurazione, si riaffermava una politica centralistica e burocratica, progressiva e lineare. Attraverso una scuola organizzata in tutti i suoi gradi, ancora vicina alla vecchia ratio studiorum gesuitica, ma non chiusa all’aggiornamento e all’età napoleonica, si sarebbero adottati rigidi criteri di selezione del personale politico e amministrativo, anche attraverso il controllo del comportamento morale e confessionale degli studenti in termini di ortodossia politica e religiosa. In primo luogo, il sovrano rinnovava la scuola primaria mediante l’introduzione dei sistemi pedagogici mutuati dal mondo anglosassone – il metodo lancasteriano, che sostituì progressivamente quello «normale» di decosmiana memoria – attento all’evoluzione economica in senso industriale. I progetti relativi all’istruzione secondaria, poi, prendevano forma attraverso il perfezionamento delle scuole per i «dotti»: collegi e licei destinati alle fasce alte della società. Ferdinando elaborava, collateralmente, un’ampia normativa dedicata all’istruzione militare, non trascurando tuttavia la formazione di «artisti», diplomatici e musicisti. L’antica cura per l’istruzione femminile, infine, si sostanziava attraverso la creazione di educandati destinati anche alle «donzelle civili». I moti del 1820-21, tuttavia, interrompevano bruscamente il cosiddetto «quinquennio riformatore», dando vita ad un’atmosfera di chiusura e a un rigido atteggiamento censorio da parte del governo. Il breve regno di Francesco I fu povero di normativa scolastica, benché segnasse un lento riavvio anche in termini di dibattito formativo e didattico. Il successivo «lungo regno» di Ferdinando II si inaugurava, negli anni Trenta, con un rapido fiorire di una pubblicistica pedagogica che dava vita a un dibattito intenso sulla necessità di «svecchiare vecchi modelli di pubblica istruzione. Tuttavia, l’attenzione verso le scuole militari, gli stabilimenti per artisti e musicisti e gli istituti riservati alle donne subì una nuova battuta d’arresto a causa dei fermenti politici del 1837 e, a istanza di dieci anni, della rivoluzione del 1848. Gli ultimi dieci anni della monarchia borbonica nel Mezzogiorno d’Italia, dunque, sarebbero stati segnati dal tentativo da parte del sovrano di vigilare con forza sull’istruzione pubblica, partendo dall’arruolamento dei docenti, passando dal controllo sugli studenti e dalla censura su libri di testo e piani di studio. Alle soglie dell’Unità, comunque, il sistema scolastico «borbonico» appariva gravemente compromesso. L’arrivo di Garibaldi segnava un giro di boa in campo scolastico: espulsi gesuiti e liguorini, la cura della pubblica istruzione diveniva laica, aprendosi contestualmente alle esigenze di un’educazione destinata anche ai ceti più bassi della società.
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